
Non si può dire di conoscere cosa sia il traffico prima di avere visitato l’Indonesia. Jakarta è una città dal traffico insostenibile, dove passare da una zona all’altra può richiedere anche 4 ore, e parlo per esperienza personale. Le strade principali sono costellate di venditori d’acqua e altri generi di conforto che rischiano la vita per alleviare le fatiche degli automobilisti.
Qui il concetto di corsia destra e sinistra è assolutamente liquido. Le inversioni a U sono il passatempo preferito degli automobilisti, ma non esistono punti stabiliti a priori nei quali farle: di solito si aspetta di incontrare, all’angolo di una strada, quello che con una certa approssimazione si può definire un vigile. Chiunque può farlo, ancora meglio se munito di fischietto. La dinamica è questa: chi intente fare inversione fa un cenno al vigile di riferimento, il quale ferma il traffico a suo piacimento e agevola la manovra. Durante questa l’automobilista, che qui guida a destra, allunga una mancia e prosegue.
Ciò che balza all’occhio è che qualsiasi segnaletica, dal semaforo alle strisce pedonali è del tutto inutile o comunque non prioritaria rispetto alle esigenze del traffico.
Ora però non immaginatevi il traffico nervoso e arrogante delle nostre strade: qui l’interpretazione libera del codice stradale viene accettata con tranquilla rassegnazione o sfruttata con veloce opportunismo a seconda del momento.
Fortunatamente, per tutta la durata del nostro viaggio, siamo stati accompagnati da un autista del posto, che è stato ribattezzato Carletto fin dal primo giorno e così è rimasto. La sua guida era in perfetto stile indonesiano: pare che appena inizia a piovere sia buona norma accelerare; i dossi sono un inutile fastidio sulle strade, che vale la pena ignorare; il mezzo non è un bene prezioso e quindi poco importa se si colpisce un marciapiede o se si urta leggermente un motorino: qui la calma si unisce alla rassegnazione e il risultato è un clima di solidarietà reciproca tra persone costrette ogni giorno a confrontarsi con situazioni paradossali anche agli occhi di guida nel traffico romano.
Ma non si può avere un’idea completa della situazione se non si fa l’esperienza del moto-taxi.
Considero questo un esperimento di valore antropologico. Un viaggio di un’ora e mezza nel traffico di Jakarta a bordo di un motorino mi ha aperto gli occhi sul popolo indonesiano più di molte altre esperienze.
Se vuoi spostarti dopo le 15, prendere un normale taxi è una follia. Quindi non resta altro che scaricare la tua app, attendere l’arrivo del tuo autista, indossare casco e mascherina e prepararti o goderti uno dei viaggi più folli che potresti immaginare.
Immaginate un muro di auto e moto, quasi senza soluzione di continuità, che procedono a pochi centimetri alla volta, lungo le enormi strade di una delle megalopoli più grandi del mondo. Lo scopo dei moto-taxi è quello di passare tra i rari e microscopici spazi che si aprono tra le auto: dopo i primi dieci minuti anche il passeggero più timoroso comprende la bravura del proprio autista e che qui le leggi della fisica cedono il posto alla fiducia; può così lasciarsi andare al puro divertimento di questa follia. Il trucco è dimenticare la quantità di smog che si sta respirando, il caldo soffocante che arriva dai tubi di scappamento, e il rischio continuo di incidente. Se questo dovesse accadere,
non preoccupatevi: nessuno scende per un tamponamento, nessuna constatazione amichevole o lite. Si sorride e si prosegue.
I taxi competono con le auto e tra di loro, in una buffa gara tra lo slalom e la velocità nei rari momenti in cui si può farlo. Qui i vigili, quelli veri, provano a dare regole puntualmente ignorate, m accettano accondiscendenti qualsiasi infrazione. Se si riesce a godersi il viaggio e si alza lo sguardo, si possono conoscere tutti i volti della città: la zona finanziaria, tra grattacieli e ville in stile coloniale che si susseguono tra bellissimi viali alberati, quella commerciale, abbagliante di insegne e luci di ogni colore, fino ai sobborghi sporchi e poveri della zona del porto, dove le fogne a cielo aperto scandiscono il susseguirsi di garage adibiti a botteghe artigianali. Dopo gli ultimi slalom tra
bancarelle di cibo di strada e carretti tirati a mano nello stesso traffico, si giunge a destinazione. Si scende, si restituisce il casco, si fa un selfie sorridente con il tassista e ci si vergogna nel pagare le 47.000 rupie della corsa: sono meno di 4€, per un’ora e mezza di corsa e una nuova raggiunta consapevolezza su una parte di mondo.
Cosa mi porto a casa da questa esperienza: prima di tutto che non si può vivere a Jakarta senza impazzire. In secondo luogo che non c’è difficoltà che tenga: si può sempre scegliere come affrontare la vita: e qui lo si fa con un sorriso e una mitezza sconcertanti. E infine, che i viaggi aprono i nostri occhi e il nostro spirito alle differenze. So che suona folle, ma se venite a Jakarta, fatevi portare nel posto più lontano della città e chiamate un moto-taxi. Non ve ne pentirete. Perchè Jakarta è la città dei motorini.







Lascia un commento