
È una domenica mattina di sole. Ho accompagnato Tommaso ad un’attività scout. Devono provare a vendere qualche torta fuori da una chiesa, per finanziarsi la tenda nuova e altre cose in vista del campo estivo. Così decido che è la mattina giusta per regalarmi una tranquilla lettura: acquisto il giornale, mi siedo sui gradini di San Petronio e inizio a leggere. Dopo qualche minuto mi si avvicina un ragazzo. È piuttosto giovane. Parla un bell’italiano ma si capisce che è straniero. “Scusa, hai una penna e un foglio da prestarmi?”. Li ho. E mentre cerco nella borsa, mi spiega che due amici si sposano e stanno raccogliendo foto da tutte le città. Si scrive su un foglio: “Nora e Julian si amano anche a…”, ovviamente in tedesco, e si fotografa la città. Così prepara il tutto, manda la foto a chi dovrà fare il montaggio e inizia a chiacchierare. Mi racconta che è di Colonia e che dopo il diploma ha deciso di fare un anno di servizio civile a Padova. Accompagna i ragazzi disabili alle lezioni in Università. Alla fine dell’estate tornerà a casa, poi andrà in Brasile, o in Argentina. E poi forse farà psicologia. Magari in Italia. Mi chiede cosa faccio lì. Allora gli spiego che sto aspettando mio figlio che è con gli scout. “Hai un figlio? Quanti anni ha?” “Quattordici”. Lui mi guarda con più attenzione, riflette per un veloce secondo e poi dice: “Allora sei vecchia! Quanti anni hai?” “42” “Oh! Potresti quasi essere mia madre. Io ne ho 19”. Dopo avergli permesso di fare a meno del “quasi”, continuo amabilmente a rispondere alle sue domande. Gli consiglio di andare in Piazza Santo Stefano. Le sette chiese sono imperdibili. Gli racconto che tra qualche giorno inizierà il cinema estivo, quando mi chiede il perché di quel grande schermo davanti a noi. Chiacchieriamo qualche minuto con un ragazzo africano che prova a venderci un libro. E allora mi dice che sono simpatica. Penso, sollevata, che sono vecchia, ma simpatica. Niente male.
Parliamo dei suoi studi futuri, dei miei studi presenti. Ha un bel modo di ascoltare. E un accento divertente che accompagna una bella proprietà di linguaggio. “Sembri una persona felice” mi dice a un tratto. E io resto in silenzio. Ho già dimenticato di essere vecchia e simpatica. Perché lui non lo sa, ma questo è davvero un complimento di quelli che non si battono. “Lo sono, credo. Almeno faccio il possibile per esserlo quasi sempre”.
Poi gli telefona un amico. Lo aspetta a Ferrara per mostrargli la città. Allora si alza, mi chiede il mio nome. “Io mi chiamo Bela. Qui in Italia è un nome complicato perché tutti capiscono Bella. Ma pazienza, anche Bella è un bel nome”. Mi stringe la mano. Si alza dai gradini di San Petronio e si avvia. Poi si gira: “Buona fortuna, Lucia”. “Buona fortuna anche a te Bela, con una sola elle”.
È arrivata l’ombra sul sagrato di San Petronio. C’è un’aria piacevole, ora. Ripiego il giornale. Mi guardo intorno. Bologna è bellissima. Le voglio bene. Mi alzo e mi avvio verso la chiesa dove gli scout provano a vendere torte per comprare una tenda.
Sono vecchia. Sono simpatica. Ma qualcuno guardandomi pensa che io sia felice.
E c’è il sole in città.







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