“Plus est en vous “ Gruuthuse Signore di Bruges.
Ci sono momenti in cui tutto ciò che ti serve è metterti uno zaino sulle spalle e partire. Scegli i tuoi compagni di viaggio, il luogo dove andare, e vai. Questa volta no. Questa volta l’unico compagno che volevo ero io. E così, dribblando tra proposte di amiche che volevano unirsi a me e commenti del tipo: “Ma sola sola? Sei sicura?”, sono partita. Ho scelto di andare a Bruges, cittadina delle Fiandre famosa per i suoi canali e le atmosfere medievali, e a Bruxelles.
Così ho messo lo zaino in spalla, ho preso l’autobus, la navetta, l’aereo, il pullman, il treno, e sono arrivata.Cosa c’è di così speciale nel viaggiare in solitaria? Io l’ho scoperto e ve lo racconto.
Non si tratta solo di libertà: quella di decidere cosa vedere, quando farlo, a che ora mangiare o svegliarsi. La sensazione più forte che ho provato è stata quella di essere sempre perfettamente in sintonia con i luoghi in cui ero, e con me stessa. Quando sei sola, ogni distrazione scompare: non chiacchieri di lavoro e figli mentre cammini per arrivare a quel museo, o mentre ti sposti in treno. Ti siedi a cena e tutto ciò che puoi fare è gustarti ogni sorso di vino, ogni boccone di cibo e la vista meravigliosa sui canali o gli sguardi curiosi di chi mangia accanto a te. Ogni piccolo momento che vivi ti penetra, senza che tu sia distratta da altro, se non dai tuoi pensieri e dalle tue sensazioni. Ed è bellissimo.
Ho passeggiato per i vicoli di Bruges (Brugge), illuminati e pervasi da musiche natalizie, ho pedalato tra filari di alberi fino alla deliziosa Damme, fotografando mulini a vento, pecore e cavalli. Ho imparato a girare in bicicletta come fa un vero belga: suonando allegramente il campanello per passare coraggiosamente tra i pedoni. Perché il vero pericolo sono loro, non le auto. Ho cenato a lume di candela, assaporando l’abbinamento tra lo spezzatino e il purea di mele, mentre un giovanissimo cameriere mi versava patatine da una pentola enorme, ogni volta che il mio piatto si vuotava. Sono salita sulla torre del Belfort per ammirare i tetti della città, ho visitato anche il museo sbagliato, perché con tutte quelle G e quelle F alla fine un po’ ti confondi. Ho passeggiato nel Beghinaggio, un angolo di silenzio e devozione protetto dal caos, quasi che un’invisibile siepe lo proteggesse dal mondo intorno. Ho fotografato ogni angolo, tutt’uno con la mia macchina, dedicando a ogni scatto il tempo necessario, perché quando sei sola, non devi preoccuparti del tempo di nessun altro. Ho cenato alle 7 di sera, sono andata a letto alle 9 dopo un lunghissimo bagno caldo. Poi ho preso il treno per Bruxelles. E senza averlo programmato, sono scesa a metà strada, a Gand (Gent). Ho lasciato lo zaino in stazione e ho passeggiato qualche ora sotto il sole. Era come se attorno a me camminassero mercanti e commercianti di stoffe. Invece del chiacchiericcio dei turisti immaginavo di sentire le urla dei marinai che caricavano le barche di merci, o il rumore degli zoccoli dei cavalli. Ho alzato la testa ad ammirare la ruota panoramica. Ho riso di me stessa mentre mangiavo il mio primo Waffle di strada, pieno di cioccolata che mi sporcava ovunque, alla ricerca di qualche sguardo complice, puntualmente incrociato. Ho provato, ostinata come sono, a visitare l’ennesimo museo di Arte Contemporanea di cui, come al solito, non ho capito nulla. Ma pazienza. Ho visto l’adorazione dell’Agnello mistico di Van Eyck ma poi mi sono incantata davanti al “Cristo porta-croce” di Bosch e alla sua meravigliosa follia. Ho ripreso lo zaino, sono risalita sul treno e sono arrivata a Bruxelles, con il desiderio di scoprire chi aveva ragione, i suoi critici severi o chi se ne è innamorato. Forse mi trovo nel mezzo. La Grand Place merita sicuramente la visita alla città. Affascinante e divertente di sera, affollata di gente che guarda i giochi di colori sui palazzi a ritmo di musica. Le stradine intasate come a un concerto rock.Chioschi di patatine fritte ovunque, negozi di cioccolata ad ogni angolo. Silenziosa ed elegante la mattina. È facile vedere l’alba a Bruxelles: il sole sorge quasi alle 9 e la città dorme fino a quell’ora. Così, con il mio tè da passeggio a scaldare le mani, mi sono seduta su un gradino e ho ammirato, avvolta da un silenzio quasi impensabile la sera prima, ogni palazzo che, in successione fitta, ripercorre la storia della città, con le sue corporazioni che costruivano edifici proprio lì, uno accanto all’altro, in una gara architettonica di supremazia, con il Palazzo Reale che guarda in faccia il Municipio, come a dire “Ehi, caro Comune, ci sono anche io. Il re qui conta ancora qualcosa”. Mi sono imbattuta per caso nel Manneken pis mentre fotografavo murales di fumetti, decisamente più interessanti, e il suo rivale di bronzo a quattro zampe che, irriverente, fa la pipì a un angolo di strada poco distante. Ho visitato il Museo Magritte e la meravigliosa Mostra Dalì-Magritte dove, guardando “La tentazione di Sant’Antonio” ho capito cosa sia la sindrome di Stendhal.
E poi mi sono concessa il piacere di vagare senza meta, lasciandomi sorprendere da angoli inaspettati, da piccoli scorci fuori dalle vie più battute, il sole tiepido sul viso. Ho bevuto cioccolata calda, vino bollente che fa miracoli contro il mal di testa. Ho cenato in pub dove fanno hamburger giganti e dove la coca cola costa meno dell’acqua. Ma tanto io bevo vino…Già, sono stata in Belgio e non ho bevuto un solo sorso di birra. E un po’ me ne vergogno…
E poi? Poi ho ripreso il mio pullman, l’aereo, la navetta, l’autobus e ho posato il mio zaino. Ho riposto la macchina fotografica, ricordando di quando quel signore ha fermato l’auto per darmi il tempo di fotografare un murale.Ho viaggiato da sola. Ho organizzato. Cambiato idea. Improvvisato. Ho sorriso agli sguardi curiosi di chi mi vedeva cenare sola. Ho salutato sconosciuti. Ho riscoperto il gusto di chiedere: “Scusa, puoi farmi una foto?”, perché ok i selfie ma così è più divertente, anche se poi le foto non sono mai come le avresti volute, eppure sorridi indulgente e dici, mentendo: “Perfetta”. Ho sentito il vento in faccia mentre pedalavo, e mi sono sentita così libera e leggera come non accadeva da tempo. Mi sono sentita indipendente e, lo ammetto, anche un po’ orgogliosa.
Era un viaggio semplice, lo so. Ma mi ha dato la consapevolezza che posso fare tutto ciò che desidero, anche da sola.
Poi però, riposto lo zaino, scaricate le fotografie, rimesse le guide nella libreria, ho preso il telefono e ho mandato un messaggio alle mie compagne di viaggio. Diceva così: “Ragazze, sono tornata. Allora? Quando si parte? Io sono pronta”.








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